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Tempo d’estate 3: corporate heritage
Serie
08 July 2025

Tempo d’estate 3

Ciò che non vogliamo: istruzioni per non diventare ciò che temiamo

La terza carpiatura del nostro tuffo in questa estate montaliana è dedicata a suggerire ciò che, tramite l’approccio Made In Heritage, non vogliamo diventare. Perché se l’heritage è un terreno fertile, bisogna fare attenzione a non seminarci paccottiglia.

1. Non vogliamo che il passato sia uno show
Conferenze glam, sale allestite con luci teatrali, narrazioni “immersive” in cui tutto brilla ma niente insegna. Il rischio è di raccontare la storia come si racconta una leggenda: bella, leggera, inoffensiva. La storia autentica, invece, lascia domande aperte. E magari anche un po’ di inquietudine.

2. Non vogliamo che il dipendente diventi figurante
Le aziende adorano coinvolgere il personale negli eventi celebrativi. Ma spesso si tratta solo di metterli in posa: sorrisi forzati, slogan da recitare, magari in maglietta d’epoca. Il coinvolgimento vero è un’altra cosa: è dare voce a chi c’era davvero, a chi ha vissuto le trasformazioni, a chi può raccontare dal basso. Le persone sono memoria e identità, non memorabilia o comparse.

3. Non vogliamo sostituire l’archivio con il visual design
Un buon racconto nasce da buone fonti. E le fonti non sono le slide, ma documenti, verbali, lettere, prototipi, brevetti. Se salta l’archivio, salta tutto. La mostra itinerante con pareti in forex e foto d’epoca sgranate non basta. Se il contenuto è fragile, la forma diventa vetrina. Spesso vuota.

4. Non vogliamo vendere nostalgia
Il passato non è un gadget. Il vintage non è heritage. Quando il racconto aziendale scivola nella retorica del “come eravamo”, smette di essere utile. Diventa rassicurante, sì, ma il suo potenziale “di rottura” viene disinnescato.

 

Cosa vogliamo, allora?
Alla fine, ciò che vogliamo è semplice (ma impegnativo): una valorizzazione culturale che abbia radici solide, sguardo critico e linguaggi onesti. Non una storia da mettere in vetrina solo durante gli anniversari o da allestire per stupire, ma una pratica continua capace di custodire, interrogare e attivare un’identità viva, plurale, anche scomoda se necessario.

Non vogliamo diventare il nostro stesso racconto, imprigionati in una narrazione perfetta ma fittizia. Vogliamo che il racconto resti al servizio della realtà, della sua complessità, della memoria intera — anche quella che non sta bene nei video promozionali.

E vogliamo che tutto questo si fondi su una gestione digitale del patrimonio storico, capace di rendere accessibile e valorizzabile quella ricchezza di dati, documenti e testimonianze che troppo spesso giace dispersa. Perché in quell’archivio vivo e navigabile non si trova solo il passato: si trovano anche le condizioni per pensare il futuro, per ispirare crescita, innovazione e decisioni più consapevoli.

Solo così, a nostro avviso, il corporate heritage diventa un vero esercizio di consapevolezza culturale. E magari, anche uno strumento strategico di gestione dell’impresa.

The end.

 

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